Vittoria

L’Ufficiale Generale Leyna Gunborg ammirava la città dal ventesimo piano degli alloggi del quartier generale militare. Attendeva. I capelli chiari corti e scompigliati ben riflettevano l’irrequietezza del suo animo, il corpo sottile eretto e immobile mostrava tutta la sua disciplina. Poteva vedere l’intera Capitale. Le persone erano piccoli punti scuri che vagavano per le strette vie d’asfalto delimitate da edifici a più piani squadrati e spigolosi. La monotonia dei colori scuri si dispiegava fino all’orizzonte dove si stagliavano maestose le torri di raffreddamento delle centrali elettronucleari che circondavano la città; i fumi bianchi che producevano si confondevano con le chiari nubi del giorno. Il sole pareva non sorgere più da quelle parti, il cielo diurno con gli anni era diventato una lastra bianca. Più in là ancora, invisibili agli occhi, c’erano paesi di periferia che sfumavano in quelle zone di guerra dove aveva vissuto per anni. Ci sarebbe mai stata pace per quelle terre? A momenti avrebbe ricevuto una risposta. I suoi pensieri indugiarono in quei luoghi che non poteva vedere ma che i ricordi, in quell’attesa estenuante, le mostravano in modo vivido, quasi reale. Davanti agli occhi le si srotolò come una pellicola il preciso istante in cui vide per la prima volta il Sottufficiale Victoria Adenora Eivor, la persona che stava aspettando.

Fumi, detriti, macerie. La battaglia si è fatta più dura del previsto. Il cielo chiaro acceca, i muscoli cedono, il respiro è affannato dopo le inaspettate ore di troppo sul campo. L’Ufficiale Generale Leyna Gunborg ha perso di vista i suoi, si è inoltrata in campo nemico, forse troppo. Ma ha dato istruzioni precise, non avranno bisogno di lei ora. Leyna, la donna, si ferma dietro a una maceria metallica, solo un istante, per prendere fiato. Solo un attimo. Il frastuono della battaglia accanto, i raggi atomici sopra, la terra vibrante sotto di lei. Pronta all’azione, scatta in posizione d’attacco. S’avvicina un androide nemico, scheletro metallico a propulsione atomica. Leyna punta l’arma nucleare, spara. Il metallo si sublima disintegrandosi nell’aria. Un rumore alla spalle, si volta, ma è troppo vicino. Si getta a terra nella speranza di evitare l’attacco. Appena la vista si fa più nitida il nemico è sparito. Dissolto dalla pistola atomica della figura imponente di un Sottoufficiale. Lunghi capelli sciolti, forme rigogliose, movimenti decisi: sono arrivati i rinforzi. Il sottufficiale le tende la mano, l’aiuta a rialzarsi. Uno sguardo, non una parola; gratitudine in quelli di Leyna, lealtà in quelli dell’alleata. Non si sono mai viste prima ma da quell’istante in battaglia diventano una cosa sola, basta uno sguardo o un cenno del capo per completare gli attacchi, scampare un pericolo, dare il via a un’azione. Nessun nemico in vista, schiena contro schiena pronte a scattare in caso di pericolo. Quando sciolgono la posizione Leyna può finalmente volgere la sua attenzione alla nuova compagna:

«Sottoufficiale Victoria Adenora Eivor. Ufficiale sono al vostro servizio», pugno al petto testa bassa.

«Sottoufficiale Eivor, alzate gli occhi.»

Leyna le stringe la mano: «Avete determinato le sorti della battaglia e quelle della mia vita. Sono l’Ufficiale generale Leyna Gunborg. Sono io che sono al vostro servizio.»

Da allora Leyna volle che la divisione del sottoufficiale combattesse sempre al suo fianco e le due da alleate divennero amiche, poi amanti. Si voltò a guardare la stanza che era stata sua per lungo tempo in tutti i periodi di permanenza nella Capitale. Era piccola, l’arredamento essenziale, geometrico, dai colori neutri. Il tavolo con due sedie da un lato e il letto addossato alla parete. Lo stesso che aveva condiviso con Victoria diverse notti, in ore indicibili trascorse ad esplorare l’una il corpo dell’altra. Victoria i seni prosperosi, la vita sottile, la gambe lunghe. Leyna dalle forme asciutte, i muscoli nervosi, le mani esploratrici. Si erano amate intensamente in tempi di guerra ma quello che desiderava più di ogni altra cosa era poter godere di questo legame in un mondo di pace. Condividevano questo sogno. Victoria era nata in una famiglia povera e non aveva avuto altra scelta oltre all’esercito. Nonostante ciò si era arruolata consapevolmente, colma di orgoglio e rispetto per la sua Patria, con l’obiettivo di arrivare alla pace, una pace che avrebbe permesso ai giovani di poter scegliere il proprio futuro come lei non aveva potuto fare. Leyna era stata cresciuta nel mito dell’Era a Vapore in cui, da bambina, si era sempre immaginata inventrice, ma soprattutto libera dall’ansia della distruzione di massa. Aveva deciso di arruolarsi proprio per porre fine alle atrocità del conflitto. Erano queste le confidenze che si sussurravano la notte dopo essersi sfinite di piacere. Si avvicinò al letto zoppicando. La ferita alla gamba, fresca di medicazione, era indolenzita. Fu un sollievo sedersi sul materasso morbido. L’attentato di quel giorno aveva messo a repentaglio tutti i traguardi raggiunti fino a quel momento. Tentò di scacciare il pensiero. Stare seduta sul bordo di quel letto le fece venire alla mente i giorni di quiete in cui si ritrovavano insieme, lei e Victoria, per il solo desiderio di godere della vicinanza dei loro corpi. Tra carezze, sospiri e grida, dopo tanto tempo, non di morte ma di piacere. La travolse il ricordo della volta in cui le fece la proposta che aveva portato a quel giorno, a quell’attesa. Dopo la quale si sarebbe scoperta la svolta definitiva, non solo delle loro vite, ma anche del destino della nazione intera.

Leyna, la testa appoggiata morbidamente sulla spalla di Victoria cominciò a parlare: «Hey Vic, ti ho raccontato di quando mi immaginavo a inventare macchine a vapore? Volevo un laboratorio meccanico tutto mio.»

Il lenzuolo arrivava a coprire a malapena i seni di Victoria e Leyna accarezzava dolcemente la pelle scoperta con un dito. Victoria sorrise carezzandole i capelli.

«Me lo racconti sempre.»

Leyna continuò.

«Avevo un gatto, nelle mie fantasie, un trovatello a cui avevo fatto una protesi a vapore, una gamba meccanica. E… e questo laboratorio era un piccolo garage in campagna con davanti campi gialli e tanti aceri, con le fogliolone sfumate di colori caldi in autunno.»

La mano di Victoria cominciò a scivolare su e giù lungo la schiena nuda di Leyna.

«Sì, lo so.»

«La cosa più bella era immaginare un mondo di pace… Vic, voglio andarmene dalla Capitale, smettere di combattere. Forse c’è una possibilità.»

«Hanno preparato il trattato?»

Leyna alzò lo sguardo: «Sì.»

Victoria si bloccò, la guardò tra sorpresa e felicità: «La versione definitiva?»

«Manca solo la firma del Generale in Capo.»

«Solo la sua? E non me l’hai detto? Praticamente è fatta!»

«Non è così facile.»

«Questo è vero, lui ha molto potere…»

«Avrei un’idea sottoufficiale…»

Victoria la guardò interrogativa, Leyna continuò: «Vic, è risaputo in tutto il comando che ti trova molto attraente…»

Lo sguardo interrogativo si fece perplesso: «Cosa?»

Leyna si alzò a sedere, il lenzuolo le scivolò in vita lasciandole i seni scoperti: «Anch’io ti trovo molto attraente…»

«Mi stai chiedendo di andarci a letto?»

«Di ammorbidirlo un po’!»

Victoria per un istante parve indignata: «Vuoi che ci scopi!»

«Ho proposto di ucciderlo ma non mi hanno approvata, i Pacifisti sono dei perbenisti.»

«Ma quello si farebbe anche un criceto!»

«Devi solo strappargli una firma, non prenderla così male… Hanno detto che possono farlo fuori se firma, ma si sentono in colpa, ha fatto grandi cose quell’uomo per la Nazione nonostante tutto…» Leyna le prese il viso fra le mani, il corpo aderente al suo: «Sottoufficiale Victoria Adenora Eivor! È per il bene della Patria. Voglio che sbatti al muro quel vecchio decrepito, lo prendi per le palle e gli fai firmare quel trattato!»

Victoria la guardava senza parole, la bocca schiusa. Lo sguardo di Leyna si fece più intenso: «Pensa a quello che potremmo fare senza guerra…»

Poggiò le labbra alle sue, poi la baciò. Victoria non poté che ricambiare.

Non ci era voluto molto per convincere Victoria: avrebbe fatto di tutto per la pace, per il loro sogno. Passò la mano sul letto e l’impazienza si fece strada in tutto il suo corpo; era stata una giornata intensa. Finalmente si stava tenendo il primo incontro ufficiale affinché entrambe le parti sottoscrivessero il documento definitivo. Leyna stese le gambe e appoggiò la schiena alla parete. Ovviamente Victoria non aveva fallito, con l’aiuto di un po’ di buon vino ed una polverina magica nel bicchiere del Generale in Capo, era stato un gioco da ragazzi. Anche se, forse, sarebbe bastato l’abito che le aveva comprato per l’occasione. Solo a ricordarla così l’attraversò un brivido di desiderio. La cena si era svolta nella suite di un hotel della Capitale e il Generale in Capo, la mattina successiva, si era svegliato con accanto un bigliettino anziché una Victoria in tenuta sexy. Il ricordo della firma lo aveva colto che oramai era troppo tardi per fare qualcosa. Quella mattina, però, mentre tutte le alte cariche si recavano al luogo prestabilito c’era stato un attacco improvviso che aveva messo a repentaglio tutto. Leyna era stata colpita ad una gamba ma, per fortuna, era stata l’unica ferita. Ancora non era chiaro chi avrebbe dovuto essere il bersaglio dell’attentato. A causa della ferita non aveva potuto partecipare all’incontro. Aveva ottenuto di poter attendere il responso dell’incontro nella sua vecchia stanza. Vic sarebbe arrivata da un momento all’altro con la notizia della svolta. Se fosse stata guerra, la Nazione si sarebbe prosciugata fino ad implodere. Se fosse stata pace, quello era un nuovo inizio, una nuova vita. La ferita alla gamba le ricordava la precarietà del traguardo che si stava per raggiungere, ma l’incontro che si stava svolgendo in quegli istanti le dava grande speranza.

La porta scomparve nel muro: il Sottoufficiale Victoria Adenora Eivor in tenuta militare entrò nella stanza. La porta si richiuse alle sue spalle. Lo sguardo di Leyna fu ricambiato da un sorriso; le cose erano andate bene. Victoria annuì: non c’era bisogno di altra conferma. Si sedette sul bordo del letto, la strinse e le sussurrò: «Ce l’abbiamo fatta.»

La baciò e Leyna si lasciò travolgere dal calore della speranza del futuro che d’ora in poi avrebbero potuto costruire insieme. Cominciarono a slacciarsi le giubbe con foga: «Vic… Non posso crederci…»

Ansimò mentre la spogliava alla disperata ricerca della pelle nuda delle spalle, dei seni. Sì udì un botto in lontananza. Leyna volse lo sguardo alla finestra: nubi grigie. Sentì una durezza metallica all’altezza dello stomaco: «Peccato, eri un’amante meravigliosa.»

Poi, lo sparo.

Il racconto è stato pubblicato per la prima volta sul giornalino letterario Il Vizio

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

by Tetris Lab
linkedin facebook pinterest youtube rss twitter instagram facebook-blank rss-blank linkedin-blank pinterest youtube twitter instagram

Informativa
Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per ottimizzare la navigazione e i servizi offerti, cliccando il pulsante accetta acconsenti all’utilizzo dei cookie. Per informazioni sui cookie utilizzati in questo sito visita la nostra pagina cookie policy.